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Nóra Paulus Eötvös Loránd University

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Summary

We know about a significant number of inscriptions – the major part of them were found in Rome - in which the pronoun idem, the form of the nominative masculine, stands in the place of another grammatical gender or case of the same word (usually a dative), or in the place of the adverb item. In the edited epigraphic corpora, this form is usually interpreted as adverbial and emendated for item. However, in similar context (as for example in the title), we can often see isdem too, the archaic form of the nominative masculine, which cannot be explained on the base of the phonology as derivated from item. In the 19th century, Friedrich Ritschl thought that these forms substituted in reality eidem (dative singular of idem), and explained the change based on phonology (eidem to idem), and then on analogy (idem to isdem). An explanation like this imply the fossilisation of the pronoun, since the variants of the nominative masculine occure in the place of another inflected form of the word, specifically in the dative. In 1907, E. H. Sturtevant published an article (Some Unfamiliar Uses of Idem and Isdem in Latin Inscriptions) in which he intended to refute Ritschl’s claim and to give another interesting interpretation. In his opinion, the fenomenon has different origins in Ostia and in Rome. In his theory, the occurrences of the form idem in a position, which is different from the nominative masculine of the pronoun, are dialectic variants of item if they are from Ostia; though the same forms registrated in Rome are interpreted as consciously used nominatives. In consequence, the fossilisation of the word would be a non-existent fenomenon. The aim of this study is to examine critically Sturtevant’s argumentation concerning the fossilisation of the pronoun idem and its eventual fusion with the adverb item.

Abstract

Summary

We know about a significant number of inscriptions – the major part of them were found in Rome - in which the pronoun idem, the form of the nominative masculine, stands in the place of another grammatical gender or case of the same word (usually a dative), or in the place of the adverb item. In the edited epigraphic corpora, this form is usually interpreted as adverbial and emendated for item. However, in similar context (as for example in the title), we can often see isdem too, the archaic form of the nominative masculine, which cannot be explained on the base of the phonology as derivated from item. In the 19th century, Friedrich Ritschl thought that these forms substituted in reality eidem (dative singular of idem), and explained the change based on phonology (eidem to idem), and then on analogy (idem to isdem). An explanation like this imply the fossilisation of the pronoun, since the variants of the nominative masculine occure in the place of another inflected form of the word, specifically in the dative. In 1907, E. H. Sturtevant published an article (Some Unfamiliar Uses of Idem and Isdem in Latin Inscriptions) in which he intended to refute Ritschl’s claim and to give another interesting interpretation. In his opinion, the fenomenon has different origins in Ostia and in Rome. In his theory, the occurrences of the form idem in a position, which is different from the nominative masculine of the pronoun, are dialectic variants of item if they are from Ostia; though the same forms registrated in Rome are interpreted as consciously used nominatives. In consequence, the fossilisation of the word would be a non-existent fenomenon. The aim of this study is to examine critically Sturtevant’s argumentation concerning the fossilisation of the pronoun idem and its eventual fusion with the adverb item.

Conosciamo una notevole quantitâ di iscrizioni – la maggior parte delle quali rinvenute a Roma – in cui idem, nominativo maschile, oppure isdem, sua variante arcaica, sostituisce un altro genere o caso grammaticale dello stesso pronome (solitamente un dativo), oppure un avverbio. Il fenomeno fu osservato per la prima volta da Raffaele Fabretti, nel XVII secolo.1 Questi, nel suo commento ad un’iscrizione funeraria nella quale si menzionava il connubio tra una liberta e il suo patrono, annotó che – “communi fere idiotismo” – nell’espressione patrono eidem coniugi troviamo spesso la forma idem o isdem al posto di eidem (il dativo del pronome).2 Successivamente, nel 1878, Friedrich Ritschl provo ad offrire un’interpretazione del fenomeno: in una nota a piè di pagina scrisse che tali forme, secondo lui, sostituivano il dativo eidem, e spiego il cambiamento (il passaggio da eidem ad idem) su base fonetica; ipotizzo inoltre che isdem potesse essere usato come forma alternativa di idem – anche in questa posi- zione – per analogia con il nominativo.3 Tale spiegazione implica un certo grado di fossilizzazione del pronome in questione, visto che il nominativo maschile compare al posto delle altre forme flesse della parola, nel caso specifico, del dativo.

Benché all’inizio del ventesimo secolo gli autori dei piu autorevoli manuali di grammatica latina (come Kühner, Georges, Neue-Wagener e Lindsay), avessero accettato la teoria di Ritschl, nelle sillogi epigrafiche tali forme sono generalmente interpretate come avverbiali, ed emendate con item. Dal punto di vista semantico, questa interpretazione non presenta alcun problema, anche perché l’avverbio item appare in espressioni simili. Tuttavia, le prime evidenze della sonorizzazione della t intervocalica si registrano nell’VIII secolo; inoltre, tale cambiamento non riguardo l’intero territorio dell’Impero: nell’Italia meridionale (dove troviamo la maggior parte delle iscrizioni con le forme in questione), la t sopravvisse anche in posizione intervocalica.4 Per non parlare poi della forma isdem, che non puo essere spiegata nemmeno su base fonetica come derivata da item. Gli autori dell’indice grammaticale del VI volume del CIL, pubblicato nel 2006, avendo rilevato queste contraddizioni, non optarono categoricamente per item, né accolsero esclusivamente l’interpretazione di Ritschl. Proposero invece correzioni doppie: nelle espressioni simili a quella citata nel titolo del nostro contributo, corressero idem o isdem con eidem, e, in alternativa, con item. 5

L’unica persona che si occupò in dettaglio della questione fu Edgar Howard Sturtevant, che pubblicò un articolo nel 1907 intitolato Some Unfamiliar Uses of Idem and Isdem in Latin Inscriptions,6 in cui cercava di smentire le affermazioni di Ritschl. Riuni egli stesso un corpus di 33 iscrizioni contenenti espressioni simili a quella citata nel titolo di questo articolo, e giunse ad un risultato assai interessante, in base al quale il fenomeno poteva essere ricondotto ad origini diverse, a seconda che comparisse ad Ostia o a Roma. Secondo la sua teoria, la forma idem che collega due sostantivi in dativo deve considerarsi come una variazione dialettale dell’avverbio item quando si trova ad Ostia, 7 mentre la stessa forma documentata a Roma rappresenta un nominativo vero e proprio, usato consapevolmente8. In nessun caso si deve supporre che si tratti della mutazione di un dativo, cosa che implicherebbe la fossilizzazione della forma del nominativo. Facciamo un esempio: Drusus Flaviae libertae idem coniugi. Se quest’espressione comparisse su un epitafio d’origine ostiense, significherebbe per Sturtevant: “Druso a Flavia, sua liberta nonché consorte.” Se, invece, la trovassimo in un’iscrizione urbana, la sua traduzione suonerebbe cosí: “Druso a Flavia, sua liberta, e lo stesso Druso alla consorte”. Sturtevant suppose inoltre che a Roma, le forme femminili fossero state assorbite dal maschile. 9 Pertanto nella frase Flavia Druso patrono idem coniugi – se l’iscrizione si manifesta a Roma – idem starebbe al posto di eadem.

In generale, la tesi di Sturtevant non fu accolta dal mondo academico: i grandi manuali non commentarono i suoi risultati né positivamente, né negativamente. Non lo fece nemmeno la famosa grammatica di Hofmann-Szantyr, sebbene menzioni l’ar– ticolo di Sturtevant tra la bibliografia collegata al tema. 10

L’idea che il medesimo fenomeno risalga ad origini diverse in due territori tanto vicini e ben collegati come Roma ed Ostia appare, in effetti, poco plausibile. Perciò, pensiamo che valga la pena investigare la questione piu approfonditamente, cominciando con elaborare tutte le iscrizioni pertinenti al tema rinvenute nelle due città. In seguito, prenderemo in esame l’uso romano ed ostiense del pronome idem e confronteremo anche l’uso dell’avverbio item in tutte e due le città, giacché pensiamo che cio sia importante, se vogliamo conoscere qualcosa di piu sull’ipotetica fusione o sull’influenza mutua delle due parole, suggerita dalle correzioni delle sillogi e da Sturtevant. Vi sono tuttavia alcuni fattori che complicano la nostra ricerca. Per prima cosa, sia il pronome che l’avverbio sparirono in un momento non determinato dalla lingua latina senza lasciare nessuna traccia: non li troviamo in nessuna delle lingue romanze. In secondo luogo, la maggior parte delle iscrizioni che ci interessano è priva di datazione. Tuttavia, dal fatto che idem sia quasi inesistente nei dieci volumi delle Inscriptiones Christianae Urbis Romae, e, inoltre, dal fatto che item vi si trovi piu raramente che nel VI volume del CIL (che contiene le iscrizioni pagane di Roma), possiamo dedurre che l’uso delle parole considerate, soprattutto del pronome, si limito all’epoca precristiana, continuando poi solo nella lingua letteraria.

Come dicevamo, Sturtevant ritiene che i casi di idem collocati tra due dativi rinvenuti ad Ostia siano in realtá degli avverbi derivati da item.11 Il suo principale argomento è che – sebbene dal punto di vista semantico, queste forme possano sempre essere corrette con item – ad Ostia, le evidenze che si possono interpretare solo cosí sono in maggioranza: in questi casi si tratta di forme chiaramente avverbiali.12 Sarebbe – secondo Sturtevant – il caso, ad esempio, di questa iscrizione: CIL XIV 439 L(ucio) Voluseio | l(iberto) Dio sev(iro) Aug(ustali) idem quinquennal(i) (…)13 Tuttavia, la sua classificazione è molto soggettiva, visto che la stessa costruzione diviene ai suoi occhi una forma pronominale, se si trova a Roma: CIL VI 15389 Dis Manib(us) | Claudiae Cypar(a)e | fecit | Claudius Felix | libertae suae piissimae | idem coniugi | et sibi.14 Secondo lo studioso, in questo caso idem è un nominativo vero e proprio.15 A nostro giudizio, invece, non sussiste alcuna differenza tra le due espressioni, sulla cui base poter ritenere forma avverbiale la prima e forma pronominale la seconda. E Sturtevant non ci offre alcun chiarimento al riguardo.

Per prima cosa, concentriamoci sul corpus ostiense. Vi si trovano, in totale, 66 casi di idem, e 2 di isdem – escludendo le iscrizioni troppo frammentarie e quelle di grammatica troppo confusa. Questa quantitâ sarebbe sufficiente per un’analisi statistica, se non fosse che 55 dei 66 esempi si registrano nella formula quasi invariabile sevir augustalis idem quinquennalis. Perciò riteniamo che i risultati ci informino della fossilizzazione della formula, anziché di quella del pronome. Tuttavia, se volessimo schematizzare l’uso del pronome all’interno di queste iscrizioni, potremmo suddividere la seguente casistica: in 41 casi, idem compare tra due apposizioni riguardanti la stessa persona che si trovano in nominativo;16 19 volte collega le stesse apposizioni, ma esse sono in dativo; 17 al terzo gruppo composto da 6 iscrizioni, appartengono gli esempi in cui idem è il soggetto della seconda proposizione che si riferisce a quello della prima. 18

Per quanto riguarda l’uso di item ad Ostia, la prima cosa da osservare è che la formula sevir Augustalis item quinquennalis si trova assai raramente rispetto alla variante con il pronome: ne registriamo solo 4 esempi su 19 iscrizioni totali in cui l’avverbio è documentato nella città portuale. Queste 19 iscrizioni possono essere divise a loro volta in tre gruppi, di cui 2 coincidono con le categorie che abbiamo già visto riguardo l’uso del pronome. In 5 iscrizioni, item collega apposizioni in caso nominativo pertinenti alla stessa persona;19 in 6 casi è ancora tra 2 apposizioni, ma queste sono in dativo.20 È interessante il fatto che nelle iscrizioni ostiensi, la terza categoria documentata per idem non esiste. Item non collega mai predicati, cioè non lo troviamoi mai in una posizione nella quale, se lo sostituissimo con idem, questo sarebbe interpretato come soggetto della seconda proposizione.22 Ci accorgiamo invece dell’esistenza di un altro gruppo: in 8 iscrizioni, item si trova tra due dativi, ma questi non sono apposizioni dello stesso complemento di vantaggio, bensì sono essi stessi due complementi di vantaggio dipendenti dal predicato.23

Le differenze tra l’uso del pronome e dell’avverbio sono chiare nonostante la scarsa quantitá di esempi e la grande proporzione della formula sevir Augustalis idem quinquennalis all’interno del corpus. Non si può negare che la somiglianza tra le due parole avrà certamente avuto delle conseguenze: come osservò anche Sturtevant, vi sono alcune iscrizioni nelle quali troviamo ambedue le parole nella stessa posizione sintattica.24 Tuttavia, la mancanza assoluta di esempi in cui idem collega due complementi di vantaggio ci fa dedurre che, ad Ostia, la forma idem che si trova tra due dativi non abbia potuto essere una variante dialettale di item; i parlanti probabilmente percepivano la distanza tra le due parole.

A questo punto, occupiamoci delle iscrizioni di Roma. La novità più appariscente è la grande proporzione della forma isdem, il che rende ovvio che qui non ab- biamo a che fare con una mutazione dell’avverbio. Per tale motivo, Sturtevant, come abbiamo già detto, cercando una spiegazione alternativa del fenomeno, giunse alla conclusione che le forme idem e isdem collocate tra dativi fossero nominativi veri e propri, usati consapevolmente.25 Per verificare la sua ipotesi, ricorse a due argomenti: nnanzi tutto, il fatto che nei testi degli autori antichi non compaia mai idem o isdem come dativo; in secondo luogo, il fatto che, benché la presenza del soggetto in una frase non sia obbligatoria in latino, nelle frasi in cui si trova idem o isdem tra due dativi, il soggetto è sempre–senza alcuna eccezione – sottointeso, il che implica che il pronome si riferisca al soggetto.26 Ma, come ben sappiamo, il fatto che un fenomeno non esista nella lingua letteraria non significa che non possa esistere nella lingua volgare. Per quanto riguarda il secondo argomento, è vero che il soggetto poteva mancare nella frase, ma nel tipo di iscrizioni nelle quali il pronome idem si trova generalmente, cioè nelle iscrizioni funerarie o onorifiche, il soggetto, che si riferisce al dedicante della stessa iscrizione, solitamente non manca. Inoltre, conosciamo alcuni esempi da Roma in cui il pronome idem precede il soggetto, cosa che non potrebbe fare con la parola a cui eventualmente si riferisse.27

Oltre agli esempi già menzionati, il problema piu notevole della teoria di Sturtevant è che, anche seguendo la sua interpretazione, i risultati non sono quelli da lui postulati. Egli, infatti, ricondusse l’esistenza della nostra espressione alla formula dedit idem dedicavit, in cui il ruolo di idem è quello di collegare piu saldamente i due predicati sottolineando l’equivalenza dei soggetti delle due proposizioni. La nostra espressione non è molto diversa, secondo Sturtevant, da questa, solo che invece dell’introduzione di un nuovo predicato, in questo caso si tratta – per dirlo con parole sue – della “modificazione del primo predicato”.28 Quest’ argomentazione, pero, puo essere controbattuta sotto vari aspetti. Per prima cosa, nella formula del tipo Flaviae libertae idem coniugi fecit, non si ha nessuna modificazione del predicato introdotto dal pronome, dato che libertae e coniugi non dipendono dal predicato, ma sono entrambe apposizioni dipendenti dal complemento di vantaggio. Quindi, possono modificare solo quello. Lo sbaglio piu grande di Sturtevant è, secondo noi, il fatto che non distingua tra complementi e apposizioni. In secondo luogo, la ripetizione semantica del soggetto non serve a fornire un collegamento piu stretto tra i predicati; al contrario, concorre a disarticolare una frase lunga, creando proposizioni chiaramente separate tra loro.

Facciamo un altro esempio: CIL VI 13773: P(ublius) Caecilius (…) Protus | fe- cit sibi et | Caeciliae (…) Speratae | conlibert(ae) idem coniugi | bene merenti et| libertis libertabusq(ue) posterisq(ue) suis (…) È evidente che sia colliberta che coniugi riguardano Caecilia Sperata, e che la parola idem collega strettamente tra loro le due apposizioni. L’espressione idem coniugi non ha niente a che fare con il predicato, “modifica” invece (citando Sturtevant), o rende piu preciso il complemento di vantaggio. Se è cosi, la ripetizione semantica del soggetto non solo non è necessaria, ma renderebbe anzi la frase assai confusa. Seguendo l’interpretazione di Sturtevant, potremmo tradurre cosi il testo: “Protus fece (il monumento) a se stesso e a Caecilia Perata, colliberta; lo stesso Protus (lo fece) per la coniuge benemerita, per i liberti e le liberte, e per i suoi discendenti.” L’idem ritenuto nominativo dividerebbe la lunga enume- razione proprio nel peggior punto possibile: non al confine di due componenti, ma in mezzo ad uno di essi.

In frasi di questo tipo la forma idem (o isdem) può essere considerata senza problemi come un nominativo solo se si trova tra due complementi di vantaggio. Per esempio, nella frase Flavius filiis idem nepotibus, potremmo spiegarla traducendo “Flavio (fece il monumento) per i suoi figli, e lo stesso Flavio (lo fece) per i suoi nipoti”, dove sarebbe del tutto coerente. Anzi, se pensiamo che non si tratti di un avverbio, questa rimane l’unica interpretazione possibile.

Eppure, analizzando l’uso urbano della forma idem e isdem, osserviamo una suddivisione degna di nota. Su 147 evidenze, il pronome collega due apposizioni in nominativo (paedagogus idem libertus) in 27 casi,29 in dativo in 83 casi.30 In 28 occasioni, funge da soggetto della seconda proposizione, trovandosi tra due predicati,21 mentre conosciamo in totale solo 9 esempi dove la forma si trova tra due complementi di vantaggio.22 Da ciò si deduce che la forma, collocata tra due dativi, era solo molto raramente usata proprio in quella posizione, che avrebbe potuto occupare senza problemi in qualitâ di nominativo, ossia un soggetto semanticamente ripetuto, che – creando una nuova proposizione ellittica – separa i due complementi di vantaggio (Flavius fecit filio idem ⟨se. fecit⟩ uxori). Il pronome, invece, nella latinitas Romana, si usava per esprimere lo stretto rapporto esistente tra due elementi sintat- tici equivalenti, non separabili in due proposizioni.

Ai fini di operare una comparazione, gettiamo uno sguardo alla tabella che mostra l’uso dell’avverbio item nella stessa città. Ci concentreremo ora soltanto su quelle occorrenze della parola che si documentano in una posizione in cui, teoricamente, potrebbe trovarsi anche il pronome. Sono cioè escluse quelle circa 100 evidenze, dove item sostituisce chiaramente la parola et (per es.: in quo sunt coniunx item filii). Su 229 esempi, item funge di vantaggio in 139 casi.23 Su 229 esempi, item fungeda nesso tra due apposizioni in nominativo 13 volte,24 tra due apposizioni in dativo 49 volte;25 introduce un secondo predicato in 28 iscrizioni,26 e si trova tra due complimenti di vantaggio in 139 casi. Ci troviamo d’innanzi ad una casistica che mostra chiaramente una suddivisione inversa rispetto all’uso del pronome. L’avverbio solitamente non è usato per collegare strettamente tra loro due apposizioni riguardanti lo stesso sostantivo, che è – lo abbiamo appena visto – il ruolo generale del pronome idem; si usa, invece, per esprimere un rapporto piu rilassato tra due complementi. L’avverbio si trova generalmente in una posizione in cui, se al suo posto ci fosse il pronome, questo potrebbe essere interpretato come nominativo. Ossia, nei casi in cui la teoria di Sturtevant riguardo le forme idem tra due dativi sarebbe accettabile, i romani usavano item, e non idem (o isdem).

Come abbiamo anticipato, la tesi di Sturtevant si rifersce anche al fatto secondo cui, a Roma, le forme femminili del pronome idem furono assorbite dalla flessione maschile. Quest’affermazione consegue logicamente dalla sua teoria precedente: ovverosia dal fatto di considerare che idem, collocato tra due dativi, sia un nominativo. Dato che, in quasi il 50% delle iscrizioni in questione, la persona dedicante era una donna (il che significa che il soggetto della frase era un sostantivo femminile (per es.: Iulia patrono isdem coniugi), se spieghiamo idem (o isdem) come nominativo, dob– biamo anche spiegare la presenza della forma maschile idem al posto di eadem, il nominativo femminile. Abbiamo pero anche visto che l’interpretazione di Sturtevant riguardo l’idem nominativo tra le apposizioni in dativo non puo essere sostenuta; quindi, l’assorbimento della flessione femminile sarà provata solo se troviamo un numero sufficiente di esempi in cui la forma idem che si riferisce ad un soggetto femminile ricorre in una posizione differente rispetto all’espressione presentata. Tali evidenze esistono, ma la loro quantitá non convalida l’ipotesi dell’assorbimento della flessione femminile del pronome. Conosciamo solo 7 esempi nei quali idem collega apposizioni femminili in nominativo,27 e 5 in cui si trova tra due complementi di vantaggio.28 La maggior parte degli esempi (50 evidenze)29 appartiene a un gruppo che deve essere escluso dall’analisi, poiché idem o isdem, in queste espressioni, non compare al posto di eadem, bensi - accettando la teoria di Friedrich Ritschl - riteniamo che sostituisca, in realtà, il dativo eidem.

Siamo giunti, infine, al problema della fossilizzazione del pronome. Prima di tutto, dobbiamo menzionare il fatto che, accanto alle 83 evidenze rinvenute a Roma in cui idem compare tra due apposizioni in dativo, conosciamo solo 11 esempi con eidem,30 la forma corretta in questa posizione, che costituisce solo il 12 % delle evidenze. Questo fatto ci permette di supporre che la flessione del pronome, che cono- sciamo dai libri di grammatica, sia esistita solo nella lingua letteraria, o almeno colta, mentre nella lingua volgare, la forma generalmente usata del dativo sia stata idem (o isdem), uguale alla forma del nominativo. In tal modo, la gran parte della flessione della parola suonava quasi uguale. Idem o isdem puo segnalare, al singolare, il nominativo maschile e neutro, l’accusativo neutro e il dativo di tutti e tre i generi; al plurale, il nominativo maschile, il dativo e l’ablativo di tutti e tre i generi grammaticali. Questo fatto poteva favorire una base per la fossilizzazione della parola, con la conseguenza che in tutti i casi la forma usata era idem o isdem.

Accettando l’esistenza della fossilizzazione, i 12 esempi menzionati che presentano la forma idem (o isdem) al posto di eadem sembrano effettivamente testimoniare tale fenomeno, anziché l’assorbimento di uno dei generi grammaticali. Tuttavia, per confermare questa teoria, ci vorrebbero casi piu sicuri, in cui l’oscillazione tra i due generi possa essere esclusa. Si tratta di una vera e propria sfida, dato che il pronome si trova nelle iscrizioni quasi sempre come parte delle formule dedicatorie, in nominativo oppure in dativo. Sturtevant citò 3 esempi, nei quali idem o isdem, secondo la spiegazione generalmente accettata, fungeva da genitivo, al posto di eiusdem. Egli rifiuto questa spiegazione in tutti i casi, rinnegando l’esistenza della forma idem o isdem in genitivo.31 A nostro giudizio, i suoi argomenti non sono validi. Tuttavia, anziché esporre i nostri, per cui, purtroppo, non abbiamo abbastanza spazio, chiudiamo il nostro articolo con l’unica iscrizione di Roma, non citata da Sturtevant, dove isdem compare come attributo di die, (ablativo singolare), in sostituzione di eodem o eadem: CIL VI, 37200 b: P(ublius) Acilius Victor | fecit se ˹ v=B˺ ˹i v=B ˺o sibi et | suisparentibus posi|ta autem Urbana so|ror hu˹i=Z˺us q(ae) vix(it) ˹v=B˺irlgo ann(os) XIII m(enses) VIII d(ies) XXI | isdem die soror | horum posita nomine | ˹V=B˺italis(…)

1

La presente relazione è stata realizzata nell’ambito del progetto NKFIH (National Research, Development and Innovation Office) No. K 108399 e K 124170 intitolato “Computerized Historical Linguistic Database of Latin Inscriptions of the Imperial Age” (http://lldb.elte.hu) e del progetto intitolato “Lendület (‘Momentum’) Research Group for Computational Latin Dialectology” (Research Institute for Linguistics of the Hungarian Academy of Sciences). Per la revisione del testo italiano, vorremmo esprimere la nostra gratitudine a Silvia Tantimonaco.

2

FABRETTI, R.: Inscriptionum antiquarum quae in aedibus paternis asservantur explicatio et ad- ditamentum. Roma 1699, 289–293.

3

Tali iscrizioni sono gli esempi n. 225–238 di FABRETTI (n. 2).

4

RITSCHL, F. W.: Opuscula Philologica IV. (Ad epigraphicam et grammaticam Latinam spectantia). Leipzig 1878, 384–385.

5

HERMAN J.: Vulgar Latin. Pennsylvania 2000, 46.

6

Corpus Inscriptionum Latinarum VI. 6. 3. Red. GORDON, A. E. Berlin 2006, 75, 81.

7

STURTEVANT, E. H.: Some Unfamiliar Uses of Idem and Isdem in Latin Inscriptions. CPh 2.3 (907) 313-323.

8

STURTEVANT (n. 7) 323: “An adverbial idem, equivalent to item, is frequent in inscriptions in Ostia, and sporadic in others.”

9

Ibid.: “A large number of epithaphs employ idem and isdem, in agreement with the subject, to emphasize the connection of two datives belonging to the predícate. (…) The usage occurs frequently in the city of Rome, occasionally in other parts of Italy.”

10

Ibid.: “The masculine nominatives idem and isdem are frequently employed for the feminine eadem in Rome, and occasionally elswhere.”

11

HOFMANN, J. B. – SZANTYR, A.: Lateinische Syntax und Stilistik. München 1972, 188–189.

12

STURTEVANT (n. 7) 316.

13

Sturtevant (n. 7) 321. “(…) in the purely adverbial construction of nos. 6–16.”

14

STURTEVANT (n. 7) 314.

15

STuRTEVANT (n. 7) 313.

16

STuRTEVANT (n. 7) 320: “It is, of course, impossible to separate our nos. 1 and 2 from nos. 3, 4 and 5. idem like isdem should be construed in this formula as a nominative and not as an adverb.”

17

AE 1977, 177; AE 1982, 133; AE 1987, 191, 196; AE 1988, 176, 180, 189, 202, 204, 210, 213, 215; AE 1996, 284; AE 2009, 192; CIL XIV 33, 309, 331, 333, 339, 355, 357, 380, 384, 386, 392, 396, 404, 405, 418, 419, 436, 442, 451, 4293, 4403, 4615, 4630, 4725; ILOP 42; Palazzo Valentiniani, p. 154.

18

AE 1985, 255; AE 1988, 186, 203; AE 1996, 304; AE 1999, 410; CIL XIV 295, 338, 344, 367, 372, 389, 406, 425, 439, 4140, 4639, 4641, 4669, 5118.

19

AE 1968, 80; CIL XIV 376, 423, 850, 4314, 4679.

20

AE 1988, 197; AE 2009, 192; CIL XIV 307, 313, 418.

21

AE 1999, 410; CIL XIV 330, 366, 425, 903, 5340.

22

Cioè, ad Ostia, non abbiamo trovato nessuna iscrizione del tipo fecit item dedicavit.

23

AE 1988, 204, 209; CIL XIV 166, 780, 1386, 1731, 4398, 4632.

24

STURTEVANT (n. 7) 315. CIL XIV 425: T(ito) Testio {H}elpidiano | seviro Aug(ustali) idem q(uin)q(uennali) | item patrono (…).

25

Vedi n. 9.

26

STURTEVANT (n. 7) 320: “The fact that a nominative always appears in the sentence shows, of course, that idem and isdem were still felt to be nominatives.”

27

Per es. CIL VI 12162: D(is) M(anibus) | Aponiae Donatae con|iugi idem libertae | karae C(aius) Aponius Firmus (.)

28

STuRTEVANT (n. 7) 320: “The essencial difference (…) is that in the latter isdem is followed, not by a new predicate, but by a modifer of the preceeding predicate. In other words, in the formula (…) is used to emphasize the connection of two parts of the predicate.”

29

CIL VI 511, 642, 950, 6069, 7790, 8012, 9005, 9102, 9683, 9794, 9863, 10118, 10341, 10369, 10762, 13670, 15694, 17082, 18032, 20402, 21458, 24312, 24943, 25175, 27196, 29750; NSA-1913-173;

30

AE 1975, 43, 96; AE 1988, 44; AE 1993, 374; AE 2004, 215; CIL VI 1897, 5360, 5778, 6788, 7368 (2×), 7788, 8449, 8801, 9590, 9719, 9975, 10219, 10522, 11378, 11840, 12162, 12930, 13773, 14529, 14592, 14841, 14930 b, 14970, 15389, 15505, 15600, 15624, 16306, 16534, 16810, 16899, 17951, 18017, 18212, 18470, 20270, 20331, 20675, 21325, 21401, 21996, 22009, 22137, 22354, 22355, 23048, 23363 a, 23395, 23897, 24008, 24445, 24532, 24711, 25319, 25377, 25485, 25504, 26281, 28375, 28670, 29256, 32678, 34768, 34966, 35503, 35594, 35973, 36167, 37373, 38674, 41266; FeC- 1966-17; MGR-1994-269; NSA-1917-297; INVaticano 54, 95.

31

AE 1920, 83; AE 1941, 69; AE 1967, 34; AE 2004, 285 b; CIL VI 244, 253, 282, 450, 451, 589, 630, 1305, 1384, 1385, 2025, 9035, 9035 a, 10237, 10332, 11034, 22339, 30985, 31543, 32323, 36606, 37965, 3420415; NSA-1914-388, 28.

32

AE 1991, 241; CECapitol 73; CIL VI 15069, 18616 (2x), 20018, 29527; ILVarsovie 54; ISOstie3n3se 130.

33

AE 1959, 42; AE 1975, 50, 84; AE 1979, 51; AE 1985, 113; AE 1986, 66, 92; AE 1990; 79; AE 1993, 244; AE 1999, 287; AE 2003, 249; AIIRoma-10, 148 e; CIL VI 1847, 1922, 2227, 2454, 2706, 3428, 3580 a, 3580 b, 4956, 5169, 7006 (2×), 7517, 7789, 8461, 8480, 8511, 8518, 8533, 8610, 8659, 8684, 8734, 8930 (2x), 9010, 9665, 9992, 10077, 10173, 10240, 10499, 10701, 10718, 10848, 11445, 12178, 12431, 12468, 12739, 12926, 12986, 13004 (2×), 13040, 13061, 13073 (2×), 13074, 13203, 13214, 13294, 13418, 13484, 13602, 13668, 14090, 14091, 14105 (2×), 15053, 15624, 16510, 16823, 17932, 18027, 18077, 18215,18305 (2×), 18312, 18330, 18443, 18468, 18476, 18616, 19003, 19562, 20149, 20233, 20239, 20558, 21306, 21852, 22730, 23665, 23716, 24062, 24193, 24206, 24473, 24831, 25201, 25484, 25827, 26218, 27132 a, 27754, 27906, 27991, 28024, 28682, 28882, 28935, 29131, 29154, 29225, 29564, 29700, 29701 (2×), 33791, 34227 a, 34613, 34633, 34774, 35588 a, 36364 (2×), 37913, 38183, 38562, 38652; ICUR I 1779, 3163, ICUR VI 17144; ILVarsovie 24.

34

AE 1946, 99; CIL VI 510, 790, 1598, 2060, 2131, 2305, 3473, 3687, 8455, 8604, 21534; ILMN-01, 635.

35

AE 1946, 140; AE 1982, 83; AE 1991, 190, 198; AE 1993, 313; AIIRoma-06, 33; BCAR-1923, 120; CIL VI 1195, 1531, 1532, 1730, 1741, 1764, 1920, 2210, 4685, 7377, 8608, 8746, 9606, 9682, 9857, 10089, 10214, 11005, 11193, 11207, 11690, 11859, 12286, 12660, 13392, 13605, 15284, 15548, 16305, 16872, 17782, 19818, 20908, 24914, 26195, 28040, 33875, 41145, 41146; ILMN-01, 633; LTUR-S36uburbium-03, p. 145; NSA-1919, 305.

36

AE 1926, 116; AE 1965, 337; AE 1979, 62; CIL VI 67, 267 a, 268, 414, 597 (2x), 615, 621, 2065, 2086, 2104 (3x), 2109, 3453, 3584 (3x), 5797, 8718, 9044, 11913, 15221; ICUR I 3451; ICUR IX 24831.

37

CIL VI 7790, 13670, 17082, 18032, 20402, 21458, 27196.

38

AE 1991, 241; CIL VI 18616 (2×), 20018, 29527.

39

AE 1975, 43; AE 1988, 44; AE 2004, 215; CIL VI 1897, 5360, 6788, 7368 (2×), 7788, 8449, 9590, 9975, 11378, 11840, 12930, 14592, 14970, 15505, 15600, 15624, 16306, 16810, 17951, 18212, 18470, 20270, 20331, 21996, 22009, 22137, 22354, 23048, 23363 a, 23897, 24008, 24445, 24711, 25377, 28375, 28670, 32678, 34768, 34966, 37373 (2×), 38674, 41266; FeC-1966-17; MGR-1994-269; NSA-1917-297.

40

AE 1990, 79; CIL VI 1690, 1691, 1926, 9609, 11125, 17588, 19827, 19859, 24677, 25108.

41

STURTEVANT (n. 7) 322-323.

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